Storia

Notizie storico istituzionali[1]

Arignano sorge in Piemonte, in provincia di Torino, conta 898 abitanti (dati censimento ISTAT 2001) distribuiti su una superficie di 8,23 kmq. ed è situato sulla collina torinese a est della Città di Chieri, con il centro abitato posto a 854 mt., adagiato sul poggio alla base del quale scorre il torrente Levanetto. Il toponimo deriva quasi certamente dal suffisso –anus di un gentilizio romano: Arenius, Arinius oppure Alenius. Tuttavia la presenza dell’uomo in epoca Romana non è supportata che da supposizioni. Il sito è indicato una prima volta nell’ultimo scorcio del X secolo in un diploma dell’Imperatore Ottone III a favore del vescovo di Torino, Amizone. Con l’avvento dei comuni, nel 1231 alcuni signorotti locali si trasferiscono a Chieri e donano metà castello arignanese al suo podestà Borri, venendo di contro investiti del feudo arignanese. Dal XIII fino al XVIII secolo è feudo della Città di Chieri che ne investe varie famiglie, come i Milone nel 1341 o i Broglia nel 1400. Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento Arignano è coinvolta nella guerra tra i conti di Savoia e i marchesi di Monferrato, subendo anche alcuni assalti e saccheggi. Finalmente, nel 1407 i Savoia concedono castello e giurisdizione di Arignano a Luigi Costa di Albussano, poi a suo figlio Ludovico. Con gli eredi di quest’ultimo il casato si divide in Costa della Trinità e Costa di Arignano. Arignano sopporta come tutto il Chierese i tumulti del Cinquecento, mentre a differenza di Chieri supera quasi indenne la peste del 1630. La linea dei Costa di Arignano si estingue nel 1690, quindi il feudo passa al ramo della Trinità, che però preferisce soggiornare a Torino, limitando la propria presenza arignanese alla stagione estiva[2]. Nel luglio del 1911 vengono appesi alcuni lanternoni per l’illuminazione pubblica lungo le contrade principali, ma non vengono accesi con continuità[3]. Riscuote maggior successo nel febbraio 1914 il primo impianto d’illuminazione elettrica in paese, installato nel “Caffè della posta”. Poi arriva la “Grande guerra” del 1915-18. Gli arignanesi combattenti caduti sono 26, commemorati in una lapide murata accanto alle scuole pubbliche nel 1920[4]. Quattro anni dopo l’istituzione dei “Fasci di combattimento” anche Arignano, nel 1923, apre la sua sezione del fascio, inaugurata festosamente in una assolata domenica di ottobre. Subito dopo, nel 1924, viene inaugurato il parco della rimembranza in onore dei caduti. Allora esisteva ancora il dibattito politico, anche se burrascoso. Ma nell’ottobre 1925, dopo 9 mesi di dittatura, compare una scritta intimidatoria rivolta al sindaco sulla facciata del municipio. E infatti nel 1926 al sindaco subentra il podestà fascista (Carlo Poesio). Il fascismo pretende di organizzare ogni aspetto della vita pubblica e privata, ad esempio scoraggia la celibità premiando la prolificenza, monopolizza persino il tempo libero. In tale contesto si tiene il corso d’igiene per l’incremento demografico organizzato dall’ONMI nell’ambito della Giornata della madre e del fanciullo[5]. Poi arriva la Seconda guerra mondiale, che non coinvolge direttamente il paese, ma impone anche qui ristrettezze e proibizioni, tra cui il coprifuoco razionamenti di cibo[6]. Con D.L. mussoliniano del 9 febbraio 1938 al territorio arignanese viene annesso quello di Mombello. Arignano stessa rischiò di essere annessa ad Andezeno, senonché l’azione congiunta del podestà, del conte Costa e del prefetto di Torino salvaguardò l’autonomia comunale[7]. Il Comune di Mombello è stato ricostituito con delibera della Giunta Municipale il 1 marzo 1946. Nel dopoguerra si assiste alla meccanizzazione agraria, asfaltatura di strade, costruzione di acquedotto, fognature (dal 1980) e condotto del metano, edificazione del nuovo municipio (1964), ampliamenti del cimitero (1980 e 1997), illuminazione stradale, costruzione di centro incontri (1983), centro sportivo (1987), nuova scuola materna (1996) e “Teatro delle stelle” (1998), inoltre sistemazione della piazza (1990)[8]. Lo stemma di Arignano consiste in un’aquila che si regge con le zampe su due torri. Deve essere piuttosto recente, visto che fino ad un certo punto doveva coincidere con lo stemma gentilizio dei conti Costa[9].

I nomi storici degli arignanesi: Basso, Berruto, Busso, Caudana, Cucco, Ferrero, Fornero, Goi, Gunetti, Matteis, Musso, Pelissero, Pezzana, Poesio, Robiola, Scaglia, Torta, Zucca.

Economia

Se è vero che durante il primo millennio d.c. il territorio arignanese era dominato da boschi di larice, durante il secondo è stato profondamente plasmato dall’uomo, che fino alla metà del Novecento ha arricchito le colline di viti e le aree pianeggianti di colture foraggiere, cerealicole, orticoltura, floricoltura e allevamento del bestiame. C’era anche l’artigianato (specialmente cestai e carradori), oggi rimpiazzato dall’industria[10].

Toponomastica

Secondo il catasto del 1766 il territorio arignanese annoverava località dai seguenti nomi: Asola, Barda, Brichetto, Calcinera, Campasso, Capella, Casotto, Cassa, Colombaro, Costa del Pero, Cremera, Cuminetta, Dodolo, Fontana, Fontanazzo, Fornaci, Gallo, Lino, Margarita, Microna, Mollino, Mongenone, Olovetta, Peschere, Pillone, Pozzetto, Pozzo, Prajetti, Quartiere dei Fornasieri, Rivolasso, Rolletta, Roncho, Rossa, Sabbioni, Serra, Serra Alta, Strobbie Vecchie, Tampe, Tetto di Chiafré, Vallone, Verna, Vignassa. Il catasto Rabbini del 1872 rileva finalmente anche i nomi delle vie esistenti nel capoluogo: via San Sebastiano e via della Chiesa (oggi riunite in via Robiola), via Santa Caterina (oggi via Lisa), via Fornaselli (oggi via Garibaldi), via Santa Lucia (oggi via Graffi), via Schinetti (oggi via Diaz)[11].

Arignanesi celebri

Seguono brevi biografie degli arignanesi che hanno lasciato un segno:

Ludovico Costa erede Raschieri (2° metà XIV secolo-1427). Figlio di Luigi Costa di Albugnano, esperto di affari economici,  fu tesoriere dei principi d’Acaia, proprietario di una casana in Bruxelles, ambasciatore al Conciglio di Costanza. Cadde in disgrazia proprio in punto di morte, accusato di usura, e i figli eredi dovettero riconquistare beni messi sotto sequestro e diritti sui feudi sospesi a peso d’oro[12].

Giorgio Maria Costa della Trinità (1515-1568). Generale dell’esercito sabaudo, governatore di Fossano, fu impegnato soprattutto nelle guerre di religione contro i Valdesi nelle valli pinerolesi a partire dal 1560. Ricordato anche per essere entrato in lite con il frate Domenicano Antonio Ghislieri, abile inquisitore poi eletto papa col nome di Pio V[13].

Carlo Adriano Costa (1551/1562-1616). Ambasciatore dei Savoia in Vaticano, quindi governatore di Torino nel 1613[14].

Vittorio Amedeo Costa (1695/1700-1777). Militare che fece carriera nella guerra di successione polacca e in quella a favore della successione di Maria Teresa d’Austria, governatore militare di Nizza nel 1749, cavaliere dell’Ordine Mauriziano e poi di quello dell’Annunziata, vicerè di Sardegna nel 1755, governatore di Tortona e Novara nel 1759, gran maestro della Real Casa e infine generale di fanteria nel 1771[15].

Luigi Costa. Balivo dei cavalieri di Malta impegnato a lungo a bordo delle navi maltesi, vicerè di Sardegna nel 1763, governatore di Pinerolo nel 1767[16].

Vittorio Gaetano  Baldassarre Costa (1737-1796). Regio elemosiniere e cappellano della Corte di Torino nel 1764 e nel 1779, vescovo di Vercelli nel 1769, arcivescovo di Torino nel 1778, cardinale nel 1789, rettore dell’Università di Torino e pure autore di un fortunatissimo trattato di dottrina cristiana pubblicato a partire dal 1786 con ben 52 ristampe[17].

Gino Lisa (1896-1917). Avviato alla carriera commerciale, pittore dilettante, sostenitore dell’unione di Trento e Trieste a inizio della Grande guerra. Arruolatosi si specializza in aviazione divenendo pilota militare, perisce durante un combattimento aereo in Trentino[18].

Mario Graffi (?-1940). Militare appartenente al battaglione Fenestrelle del 3° reggimento Alpini, cadde in combattimento a guerra appena iniziata[19].

Enrico Gamba (1831-1883). Studia all’Accademia Albertina in Torino, brillante studioso e pittore, esegue affreschi in parecchie chiese torinesi, chieresi e in giro per il Piemonte. Nominato professore in Accademia a soli 24 anni, dal 1869 alla morte dirige la Pinacoteca di Torino[20].

Antonmaria Robiola (1780-1851). Erudito e letterato, insegnante elementare a Pecetto, ripetitore di belle lettere all’Accademia militare di Torino fino alla morte[21].

Edifici notevoli

La rocca – Due sono in particolare i monumenti di grande interesse storico: la rocca e il castello. La rocca, o “castello superiore” è citata la prima volta nel 1047 in un diploma dell’Imperatore Enrico III a favore del Capitolo di San Salvatore di Torino. L’edificio andato distrutto venne ricostruito a fine XIII secolo in concomitanza con la generale riorganizzazione del territorio chierese al termine della guerra fra il potente marchese di Monferrato Guglielmo VII e la confederazione dei comuni appoggiata dal conte di Savoia Amedeo V. Il complesso era costituito da una bassa cortina di protezione, un mastio quadrangolare e un palazzo di abitazione. Danneggiato pesantemente dalle milizie di ventura di Facino Cane nel XIV secolo fu ristrutturato e ampliato nel secolo successivo. Il palazzo divenne ora il centro del complesso architettonico, circondato da cortine rafforzate su tre angoli da torri quadrate, delle quali una sola tuttora sopravvive (affiancata da un “viretto” cilindrico), e sul quarto spigolo dal mastio. L’evoluzione dell’arte della guerra con l’utilizzo delle bocche da fuoco fece decadere il castello. Al suo scadimento contribuì, nel XVIII-XIX secolo la costruzione a ridosso del medesimo della villa dei Costa della Trinità, degna di menzione per gli affreschi a grottesche, paesaggi e scene classiche, e per gli stucchi che adornavano i soffitti di alcune sale. Nelle vicinanze della villa sorgono due edifici contigui, in stile neogotico piemontese d’epoca Carloalbertina, adibiti un tempo a scuderie e depositi delle carrozze[22].

Il castello delle quattro torri – Il castello o “castello inferiore” era all’origine una casaforte a pianta quadrata con quattro torrette cilindriche e un armonioso cortile a doppio ordine di arcate. Voluto dai conti Costa di Arignano verso la metà del XV secolo, una volta che la rocca perse il suo valore strategico, viene concepito da subito come struttura residenziale. Dopo alcuni secoli di vita anche questo castello cominciò a decadere e venne degradato a cascinale, sostituito dal “palazzo Bianco” sorto più in alto, presso l’antica rocca[23].

Villa Bianca – E’ stata l’ultima dimora arignanese dei Costa. Costruita verso metà dell’Ottocento, serviva a residenza estiva dei conti. Oltre gli eleganti ambienti interni, ricchi di tappezzerie, volte stuccate, arredi sfarzosi, vantava all’esterno un sistema di serre per la coltivazione di piante e fiori anche esotici. Il giardino è collegato tramite un ponte che scavalca la strada pubblica ad un vastissimo parco, che si spinge fino al lago artificiale. Esisteva anche un grandioso viale oggi scomparso, detto allea, che dalla strada consortile Chieri-Castelnuovo conduceva a detto parco[24].

La parrocchiale – L’antico mastio si affaccia sulla piazza della parrocchiale dell’Assunzione di Maria Vergine, patrona del paese con san Remigio vescovo. La chiesa, a una navata con due cappelle laterali, fu voluta dai conti della Trinità nel 1781, ricostruita “fin dalle fondamenta”, in luogo di una più antica che si dice costruita nel 1487 e dedicata all’Assunta e a San Clemente I papa. al XV secolo. Ma doveva esserci pure una cappella più anticamente, visto che si ricorda un parroco già nel 1333, inoltre un diploma di Enrico III risalente al 1047 cita, oltre il castello, anche la cappella in onore di san Remigio[25]. Nel 1845 il conte Costa cede la tribuna alla parrocchia per farvi la sacrestia, inoltre fa convertire la vecchia sacrestia a tribuna[26]. Nel 1880 viene ripulita e ridecorata dal decoratore Vigna di Torino[27]. Nel giugno 1892 si verifica un incendio nella sacrestia e si propaga nella chiesa, distruggendo tutto l’arredo. Si salva invece in parte la casa parrocchiale[28]. Il campanile è stato eretto nel 1780, ed è proprietà del Comune[29].

Il cimitero – Nel novembre 1834 viene inaugurato il cimitero extraurbano. Prima di quel momento si trovava nel piccolo spazio di terreno a levante della chiesa, ove era il passaggio del conte Costa per raggiungere la tribuna[30]. Ampliato nel 1896[31].

Cappella della Visitazione – La vecchia cappella della Visitazione viene demolita nel 1879, e rieretta servendo anche a cappella mortuaria dei Costa. Viene infine venduta nel 1948 dal conte Carlo al muratore Napione di Andezeno che la smontò per venderne i materiali[32].

Cappella di Madonna della neve – Già situata presso tetti Gianchino, viene rifabbricata nel 1879[33].

Cappella di San Grato – Nel 1862 viene riedificata la cappella di San Grato. Quella precedente era poco discosta da quella nuova, attigua alla stalla Fornero, vicino al viottolo che scende a valle[34].

Cappella dei Santi Maurizio e Sebastiano – Nel 1897 viene benedetta la cappella dei Ss. Maurizio e Sebastiano, che prima era eretta dove ora è la cappella di Sant’Anna. Viene dichiarata del Comune nel 1912 perché riparata a sue spese. Quindi la nuova cappella di Sant’Anna, della famiglia Gamba, viene benedetta nel 1898[35].

Cappella di San Martino – Nel settembre 1899 viene ristorata a spese dei conti Costa la cappella di San Martino in Moano, già eretta nel 1789[36].

Asilo infantile – Nel 1887 la contessa Ernestina Scarampi di Villanova vedova Costa della Trinità acquista e dona al Comune, anche supportata da tutte le famiglie del paese, una casa denominata “Palazzo Dionisio” per istituirvi un asilo infantile maschile e femminile, utile alla custodia dei bimbi con genitori lavoratori, alla loro istruzione morale, religiosa e civile. L’edificio viene adattato ad asilo e aperto l’anno successivo. L’ente è diretto dalla Casa della Divina Provvidenza fino al 1896, quindi subentrano le suore Salesiane che vi rimangono fino al 1949, allorquando viene chiuso per mancanza di personale[37]. L’insegnamento era affidato ad una maestra e ad alcuni inservienti[38]. Nel febbraio 1908 si tiene una recita carnevalesca dei dilettanti arignanesi nei locali dell’asilo, mettendo in scena la commedia morale di Santa Eustella, inoltre la brillante farsa “La casa degli spiriti”. E’ un successo decretato sia da giovani che adulti[39].

Villa Gamba – Voluta dal barone Enrico Gamba, ampliata ai primi del Novecento, con l’aggiunta del porticato a due ordini. All’interno si trovava la cappella di San Sebastiano, poi demolita e ricostruita sulla strada pubblica. Nel 1911 il complesso viene donato alle suore Salesiane “figlie di Maria Ausiliatrice”, che ne fecero il loro aspirantato per giovani che intendessero prendere il velo. Ampliato nel 1939, e denominato “Casa madre Caterina Daghero”, ceduto infine nel 1977 causa calo di vocazioni, diviene una casa di convalescenza e riposo denominata “Villa Adriana” in onore della moglie dell’attuale proprietario[40].

Il lago di Arignano

Il lago di Arignano, un vasto bacino irriguo realizzato per volontà del conte Paolo Remigio Costa di Carrù e della Trinità, da un secolo e mezzo contrassegna il morbido paesaggio arignanese. Fu pensato inizialmente come riserva d’acqua per coltivare più proficuamente i campi del conte. Opera del Brunati, ispettore generale del Genio civile, che redasse e presentò il progetto nel 1838, è posto in regione Cremera al confine con il Comune di Marentino. Il sito era stato scelto perché dalla conformazione naturalmente concava risultava favorevole allo riempimento, aggiungendo un semplice sbarramento a valle. La realizzazione dell’invaso fu duramente osteggiata da alcuni proprietari terrieri che, minacciati d’esproprio, ne contestarono il valore di pubblica utilità, ma la pervicacia del conte consentì di superare tutti gli ostacoli, e il 5 febbraio 1839 Carlo Alberto concesse le tanto sospirate “regie patenti” di autorizzazione ai lavori, che procedettero rapidamente[41]. Con la terra di riporto dello scavo fu costruito al centro del lago un isolotto che, rivestito di una vegetazione rigogliosa, divenne luogo di svago e di attracco per le barche. I benefici di quest’opera non tardarono a evidenziarsi: le acque del lago consentirono di fronteggiare lunghi periodi di siccità e di razionalizzare la distribuzione idrica, alimentarono due mulini (quelli chiamati “del Lago” quello “di Moano”) permisero lo sfruttamento della pesca e la produzione del ghiaccio, tradizionalmente prelevato prima di Natale e poi immagazzinato nelle ghiacciaie dei conti della Trinità. A quest’operazione partecipava tutta la popolazione, che spaccava il ghiaccio e portava i lastroni nelle ghiacciaie del conte o più recentemente in quella del macellaio. Dei due mulini nati per effetto della presenza del lago, e dotati di macine per grano, mais, fave e segale, quello del Lago venne costruito nel 1855, quello di Moano nel 1860. Quest’ultimo rendeva molto meno del primo, quindi finì presto per essere abbandonato. Piace sapere che il fittavolo della cascina Calcinera, situata a monte del lago, curava anche l’immissione degli avannotti di tinca nel bacino, mentre al fittavolo del mulino del Lago, a valle dello stesso, era affidata la vendita dell’acqua che andava ad irrigare i campi di Arignano, Riva di Chieri e Poirino[42]. La lenta decadenza dell’invaso iniziò in questo secolo, quando i Costa cedettero la proprietà del lago ai conti Rossi di Montelera, con l’effetto che i lavori di manutenzione diminuirono e iniziò l’impaludamento. Alcuni lavori di bonifica vennero effettuati negli anni Settanta, ma il pessimo stato delle paratoie e degli argani di manovra per lo spurgo delle acque nonché il timore di instabilità della diga in caso di eventi meteorologici eccezionali, indussero la Prefettura di Torino a ordinare 15 marzo 1980 l’apertura delle paratoie e lo svuotamento del lago. Finalmente recenti lavori di consolidamento e rinnovamento dello sbarramento hanno consentito nuovamente lo riempimento dell’invaso, che oltre a servire nuovamente da riserva d’acqua per l’irrigazione, costituisce anche una riserva naturalistica effettiva[43].

BIBLIOGRAFIA

  • AAVV, Il Piemonte paese per paese, Edizioni Bonechi Firenze, 1993.
  • E. Bassignana, Arignano, Edizioni Comune di Arignano, 1998.

[1] Il presente capitolo è stato elaborato su traccia delle indicazioni contenute in AAVV, Il Piemonte paese per paese, Edizioni Bonechi Firenze, 1993. Le integrazioni tratte da altre opere saranno via via segnalate; [2] Cfr. E. Bassignana, Arignano, Edizioni Comune di Arignano, 1998, pp. 27-28; [3] Cfr. ibidem, p. 54; [4] Cfr. ibidem, pp. 33-35; [5] Cfr. ibidem, p. 55; [6] Cfr. ibidem, pp. 35-41; [7] Cfr. ibidem, p. 9; pp. 72-73; [8] Cfr. ibidem, p. 42; [9] Cfr. ibidem, p. 17; [10] Cfr. ibidem, p. 9; pp. 14-16; [11] Cfr. ibidem, pp. 12-13; [12] Cfr. ibidem, p. 58; [13] Cfr. ibidem, p. 61; [14] Cfr. ibidem, p. 61; [15] Cfr. ibidem, p. 61; [16] Cfr. ibidem, p. 61; [17] Cfr. ibidem, p. 62; [18] Cfr. ibidem, pp. 62-64; [19] Cfr. ibidem, p. 65; [20] Cfr. ibidem, p. 64; [21] Cfr. ibidem, p. 65; [22] Cfr. ibidem, pp. 91-93; [23] Cfr. ibidem, pp. 93-94; [24] Cfr. ibidem, pp. 96-98; [25] Cfr. ibidem, p. 26; pp. 75-76; [26] Cfr. ibidem, p. 68; pp. 70-71; [27] Cfr. ibidem, p. 69; [28] Cfr. ibidem, p. 46; [29] Cfr. ibidem, pp. 79-81; [30] Cfr. ibidem, p. 68; [31] Cfr. ibidem, p. 71; [32] Cfr. ibidem, p. 68; 87; [33] Cfr. ibidem, p. 68; [34] Cfr. ibidem, p. 68; [35] Cfr. ibidem, p. 71; [36] Cfr. ibidem, p. 71; [37] Cfr. ibidem, p. 70; [38] Cfr. ibidem, p. 29; [39] Cfr. ibidem, pp. 51-52; [40] Cfr. ibidem, pp. 94-96; [41] Cfr. ibidem, pp. 102-104; [42] Cfr. ibidem, pp. 106-108; [43] Cfr. ibidem, pp. 109-111.